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Cannabis e Medicina

 

L'efficacia del delta-9-THC e di un suo derivato sintetico, il nabilone, nei casi di nausea e vomito secondari a chemioterapia è stata dimostrata in vari studi clinici controllati in doppio cieco.  In tutti questi studi i cannabinoidi risultavano più efficaci delle terapie tradizionali. A seguito di tali indiscutibili evidenze il nabilone è stato ufficialmente registrato per tale uso in Gran Bretagna. Uno studio pilota ha inoltre dimostrato che il delta-8-THC, un cannabinoide non-psicotropo, privo cioè di effetti sul sistema nervoso, ha promettenti proprietà antiemetiche nei bambini ammalati di leucemia.

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Il trattamento sintomatico dei disturbi correlati all'AIDS rappresenta un'altro promettente campo di impiego. L'efficacia nella stimolazione dell'appetito dimostrato dal dronabinol in questi pazienti in studi
clinici controllati in doppio cieco  ha convinto la esigente American Food and Drug Administration a registrare il farmaco per questa utilizzazione. Il meccanismo d'azione sarebbe legato alla capacità di inibire la produzione di alcune sostanze, quali il fattore alfa di necrosi cellulare (TNF), che verosimilmente contribuiscono allo sviluppo della 'sindrome da deperimento'. Questa caratteristica, associata con le proprietà antiemetiche suddescritte e con i potenziali effetti ansiolitici , ipnoinduttori e antidepressivi , conferiscono a questo farmaco un profilo assolutamente originale tanto da indurre fonti autorevoli quali la British Medical Association a raccomandarne pressantemente l'impiego per futuri studi.
Una grande attenzione viene dedicata negli ultimi tempi alle proprietà neuroprotettive dei cannabinoidi. Come ha dimostrato un recente studio cui ha collaborato anche l'italiano Grimaldi , essi sono dei potenti agenti antiossidanti, vale a dire che sono in grado di neutralizzare le sostanze ossidanti nocive che si sviluppano, a livello cerebrale, in corso di trauma cranico o ictus . Questi risultati, ottenuti in laboratorio, hanno avuto una prima conferma nell'uomo, in uno studio clinico compiuto in Israele su pazienti con trauma cranico: l'impiego del dexanabinol, un cannabinoide non-psicotropo, ha dato ottimi risultati. Futuri campi di impiego potrebbero essere le patologie neurodegenerative , tra cui il morbo di Alzheimer , il morbo di Parkinson o la corea di Huntington, ma per queste applicazioni servono ulteriori verifiche cliniche.
Già da alcuni millenni la medicina orientale conosce e utilizza le proprietà analgesiche e anti-infiammatorie dei cannabinoidi e nel secolo scorso la cannabis era comunemente accettata, con queste indicazioni, nella farmacopea ufficiale in Europa e negli USA. Dopo un lungo oblio, l'attenzione per questo potenziale utilizzo sta risorgendo, e recenti studi hanno contribuito a chiarire le basi razionali dell' effetto terapeutico dei cannabinoidi.
Il dato è di rilevante interesse ove si considerino i gravi effetti collaterali della maggior parte dei farmaci analgesici attualmente disponibili, e la loro relativa inefficacia in alcune forme di dolore, come per esempio la diffusissima emicrania. La realizzazione di ulteriori studi clinici, alcuni
dei quali gia' in corso, potrebbe portare a importanti progressi nel campo della terapia del dolore.
L'efficacia terapeutica nel trattamento sintomatico della spasticità muscolare è testimoniato da molteplici esperienze cosidette "aneddotiche": malati di sclerosi multipla, Morbo di Parkinson, pazienti con patologie del midollo spinale, concordano nel riferire, dopo l'assunzione di derivati della cannabis una riduzione dei sintomi correlati alla spasticità. Alcune di queste esperienze sono state confermate in
studi clinici di piccole dimensioni , ma a tutt'oggi mancano evidenze derivanti da grossi numeri. In Gran Bretagna, dove esiste una agguerrita organizzazione, l' Alliance for Cannabis Therapeutics, di cui fanno
parte molti malati di sclerosi multipla, la Royal Pharmaceutical Society ha recentemente ottenuto l'autorizzazione dal governo londinese per condurre una sperimentazione su un campione di 2000 pazienti.
Lo studio prevede l'impiego di un interessante dispositivo di somministrazione dei cannabinoidi per via inalatoria, sul tipo dell'aereosol utilizzato per gli asmatici. I primi risultati dovrebbero essere disponibili nel 2002.
Un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature ha fornito interessanti strumenti per la comprensione del meccanismo d'azione di tali sostanze nel controllo della spasticità, ponendo le basi per ulteriori interessanti approfondimenti.
Nei malati di glaucoma, una malattia caratterizzata da un aumento della pressione intraoculare che può condurre alla cecità, ci sono numerose evidenze che il delta-9-THC possa ridurre la pressione intraoculare.
Le intuizioni del Dr Randall, il medico statunitense, malato di glaucoma, che al termine di una lunga battaglia legale ottenne di potersi curare con la cannabis, hanno avuto il conforto di un piccolo studio clinico in doppio cieco , che dimostra una significativa riduzione della pressione intraoculare nei soggetti trattati con marijuana.
Le proprietà anticonvulsivanti dei derivati della cannabis sono testimoniate da alcuni studi su animali nonchè da esperienze aneddotiche di malati di epilessia che testimoniano una riduzione delle crisi e del fabbisogno di farmaci. Mancano però a tutt'oggi studi clinici controllati di significative dimensioni.
Il fatto che la cannabis è un efficace
broncodilatatore è noto da tempo, ma il suo potenziale utilizzo terapeutico nei soggetti asmatici è stato sinora limitato dalla mancanza di una via di somministrazione adeguata. Lo sviluppo delle ricerche
su derivati assumibili per aerosol o mediante vaporizzazione potrebbe nel prossimo futuro aprire la strada anche a questa utilizzazione.
Interessanti informazioni sui potenziali effetti antipertensivi potrebbero venire da ricerche in corso
presso la University of Nottingham Medical School (UK) sugli effetti degli endocannabinoidi sulla circolazione sanguigna. Partendo dalla constatazione che gli endocannbinoidi endogeni, ed in particolare l'anandamide, hanno mostrato di possedere effetti ipotensivi, i ricercatori britannici stanno valutando, in studi in corso, il possibile impiego terapeutico di questo dato.
La recente segnalazione di un possibile effetto antiaterosclerotico accentua ulteriormente l'interesse per un possibile impiego di queste sostanze in campo cardiovascolare.
Un ulteriore potenziale campo di utilizzo potrebbe infine essere quello della terapia dei tumori. Alla recente dimostrazione dell'efficacia dell'anandamide nell'inibire la proliferazione del tumore della mammella, opera di un gruppo di ricercatori italiani, si è aggiunta, qualche mese fa, la segnalazione di alcuni ricercatori spagnoli che hanno evidenziato che
il delta-9-THC è in grado di produrre la morte delle cellule dei gliomi cerebrali, risparmiando le cellule sane che circondano il tumore. In entrambi i casi si tratta, è il caso di sottolinearlo, di dati ottenuti
"in vitro", ma che aprono la strada ad interessanti filoni di ricerca per possibili impieghi terapeutici nell'uomo.
In conclusione possiamo dire che il riaffermarsi, in questo ultimo scorcio del secolo, dell'interesse scientifico nei confronti di questo medicamento
ingiustamente "messo all'indice" negli anni precedenti, rende concreta la speranza che il prossimo millennio possa produrre una inversione di rotta nel campo del suo, estremamente promettente, utilizzo terapeutico.

 

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